Acqua pubblica o privata: ma è davvero questo il quesito?
Pubblicato il 10 Giugno 2011
Qualche riflessione sul referendum.
Il primo quesito del referendum del 12 e 13 Giugno (ecco il Decreto del presidente della repubblica che lo indìce) chiede l'abrogazione dell'art.23-bis del famoso "Decreto Ronchi" (qui il testo della legge).
Con quali conseguenze?
Nel caso vincessero i sì, e l'articolo fosse abrogato, la legge che regolamenterebbe l'affidamento della gestione delle reti idriche tornerebbe ad essere l'art. 20 della "legge Galli", (n.133 del 5 gennaio 1994, ecco il testo della legge).
Cos'è la "legge Galli"?
Nell'era "pre Galli" la gestione dell'acqua in Italia era ripartita tra quasi 8000 diverse società pubbliche di gestione (Senn, 2009), a fronte di 8.094 comuni (!).
Ciò comportava 3 grandi criticità:
- Grande sprechi, dovuti all'incapacità di fare qualsiasi tipo di investimento sulla rete
- Scarsa attenzione delle fasi "a valle" (cioè la depurazione)
- Assoluta mancanza di integrazione
- Nessun tipo di trasparenza
Nel 1994, quando fu approvata, gli obiettivi della legge erano ridurre questa frammentazione altamente inefficiente della gestione, introducendo 3 concetti:
- Istituzione del Servizio Idrico Integrato (SII) come sturttura organizzativa: integrazione tra captazione, adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione
- La defiscalizzazione del servizio idrico: i costi non gravano più sulla fiscalità generale, ma introducendo il principio del full recovery cost, la tariffa deve garantire il totale rientro dei costi per il gestore, più il 7%.
- Creazione degli ATO , Ambito Territoriale Ottimale, con precisi riferimenti territoriali: il SII deve essere gestito da un unico soggetto affidatario
- Creazione degli AATO , Autorità d’ambito Territoriale Ottiamale, cioè un organo supervisore composto dai Comuni (proprietari delle reti), con funzione di controllo, monitoraggio e indirizzo d’esercizio
Gli AATO stilano un Piando d'Ambito, che stabilisce:
- Metodo di affidamento della gestione
- Durata dell’affidamento
- Caratteristiche qualitative del servizio
- Piano degli interventi
- Tariffe applicabili: essendo il sistema idrico defiscalizzato, la tariffa deve coprire l’intero costo.
Per perseguire l'obiettivo fissato, la legge Galli prevede 3 possibilità di delega della gestione dell'acqua da parte dello stato:
- Assegnazione diretta a una società pubblica ( in-house)
- Assegnazione diretta a una società mista, in cui la maggioranza, pubblica, avrebbe scelto un partner privato tramite una gara.
- Concessione a un privato tramite gara pubblica.
I risultati sono che, in questo momento, la maggior parte dei gestori delle reti è ancora pubblico, alcuni sono gestori misti, mentre pochissimi sono privati. Alcuni gestori sono quotati in borsa (ad esempio a2a).
La mappa mostra come, ad oggi, su 92 ATO, solo 72 sono stati affidati a società così ripartite:
- 34 affidamenti in house
- 13 società quotate
- 12 S.p.A. miste
- 7 gestori transitori
- 6 concessioni a terzi
Da sottolineare che, ad oggi, ben 20 ATO non hanno un gestore in regola!
Queste infatti sono situazioni in cui i comuni, o i vecchi consorzi, gestiscono ancora direttamente il servizio idrico, senza la benchè minima integrazione, con contratti rinnovati in deroga da più di 15anni.
Nel mercato dell'acqua quindi non si è vista nè competizione nè una sostanziale privatizzazione pur essendo prevista dalla legge, perchè di fatto gli enti locali non hanno quasi mai (se non in rare eccezioni) aperto le gare per l'assegnazione a privati, preferendo crearsi società "in casa", nelle quali poi poter decidere chi metterci a capo ed assegnare gli incarichi all'interno. Questo perchè esiste un fortissimo conflitto d'interessi, essendo i comuni sia concessionari, tramite gli AATO, e gestori, tramite le società pubbliche.
L'articolo 23-bis del "decreto Ronchi", che si vuole abrogare, ha lo scopo di sostituire l'assegnazione diretta a società pubbliche con una gara, che diventa la modalità primaria di assegnazione della concessione: alla gara possono partecipare sia le società totalmente pubbliche, sia quelle miste, sia quelle private.
Nel caso non fosse aperta una gara, e ci fosse un'assegnazione diretta a una società pubblica, allora scatterebbe l'obbligo per la società di cedere una Minoranza (il 40%) al privato, tramite gara.
Questo, di fatto, è un incentivo per le imprese che ora gestiscono (quelle pubbliche) a tenersi il posto non perchè protette dalla "benevolenza" degli enti locali che le hanno create, e che si sono ripetutamente rifiutati di aprire gare (per tenere le sedie calde ai propri amici?), ma perchè migliori degli eventuali concorrenti in un appalto.
Ultimo punto da sottolineare:
Se l'obiettivo dei comitati referendari fosse stato quello di impedire veramente che qualsiasi tipo di società privata potesse diventare gestore, avrebbero dovuto chiedere l'abrogazione non solo dell'articolo 23-bis del "Ronchi", ma anche di parte della legge Galli, che invece non fa parte dei quesiti referendari.
Filippo Magnani
Link al testo del Decreto Ronchi
Link al testo della Legge Galli